"Mi hanno rubato l'umanità": I sopravvissuti di Abu Ghraib lottano ancora per la giustizia

Più di 20 anni dopo le rivelazioni sulle torture da parte degli Stati Uniti ad Abu Ghraib, tre vittime hanno ottenuto la vittoria in una causa federale contro l'appaltatore militare complice delle loro torture. Eppure, per la maggior parte delle persone, la giustizia rimane difficile da ottenere.
Nonostante l'indignazione globale seguita alla pubblicazione nel 2004 di foto che ritraevano abusi compiuti ad Abu Ghraib, molti sopravvissuti devono ancora ricevere giustizia o un risarcimento. In uno storico caso del 2023, tre ex detenuti hanno citato in giudizio con successo l'appaltatore privato CACI, ottenendo 42 milioni di dollari di risarcimento per le loro sofferenze. Tuttavia, alcuni ostacoli significativi, tra cui l'immunità legale per il governo degli Stati Uniti, i termini di prescrizione e lo stigma sociale, continuano a impedire alla maggior parte delle vittime di chiedere un risarcimento.

Taleb al-Majli recita senza sforzo il suo numero di identificazione di carcerato della famigerata prigione irachena di Abu Ghraib, dove rimase detenuto più di 20 anni fa: i numeri sono rimasti impressi per sempre nella sua memoria.

"Ogni giorno penso ancora a quello che mi è successo", spiega il 58enne, che dice che in prigione i soldati americani lo torturarono e umiliarono. È seduto sul pavimento duro di un piccolo appartamento, per lo più non arredato, che affitta a Baghdad. "Vive dentro di me e non mi lascia mai in pace. Non posso iniziare a guarire finché non avrò giustizia per ciò che mi hanno fatto.

Le torture e gli abusi sui detenuti da parte dei soldati statunitensi ad Abu Ghraib fecero notizia e vennero trasmessi dalle redazioni di tutto il mondo quando nell'aprile 2004 furono pubblicate le fotografie che mostravano un uomo incappucciato in piedi su una cassa con dei fili elettrici attaccati alle dita, insieme a uomini nudi, al guinzaglio come cani o costretti ad assumere posizioni sessuali, mentre i soldati statunitensi posavano divertiti accanto a loro. Majli dice a  The Real News Network  che appare in una di queste immagini, in cui dei detenuti nudi con la testa dentro a dei sacchi sono ammucchiati l'uno sull'altro in un'inquietante piramide umana. Due soldati americani, Sabrina Harman e Charles Graner, sorridono e fanno il gesto del pollice in su.

"L'unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento era che avrei voluto morire prima di vivere tutto questo", dice Majli, giocherellando con i pollici. "Mi hanno rubato l'umanità. Non sono ancora riuscito a elaborare quello che mi è successo laggiù.

Per più di due decenni, nessun detenuto di Abu Ghraib, o altre vittime di torture avvenute durante la guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq, ha mai ricevuto un risarcimento dal governo statunitense o dai suoi appaltatori militari privati. Majli è ancora tra coloro che non hanno ricevuto un risarcimento per ciò che ha subito.

Tuttavia, nel novembre dello scorso anno, in un'aula di tribunale della Virginia è avvenuto qualcosa di storico. Nel 2008, tre ex detenuti di Abu Ghraib torturati in questa struttura, citarono in giudizio la CACI Premier Technology, Inc., con sede in Virginia, che era stata incaricata dall'esercito statunitense di fornire servizi di interpretariato ad Abu Ghraib. La causa federale, Al Shimari contro CACI Premier Technology, Inc., sosteneva che la CACI aveva partecipato a una cospirazione per commettere comportamenti illeciti, tra cui torture e crimini di guerra.

Dopo 15 anni di contenzioso, la giuria ha dato ragione ai querelanti, con una sentenza che impone alla CACI di pagare 42 milioni di dollari agli ex detenuti: è stata la prima volta che le vittime di torture in tempo di guerra nell'era post-11 settembre hanno ricevuto un risarcimento. Il caso è anche la prima causa in cui le vittime delle torture e dei trattamenti crudeli da parte degli Stati Uniti hanno ottenuto un processo nell'aula di un tribunale statunitense.

Dopo questa storica vittoria, altri ex detenuti di Abu Ghraib sperano che questo caso possa dare loro nuovamente la possibilità di ottenere un risarcimento per i crimini a cui furono sottoposti due decenni fa. Alcuni gruppi per la difesa dei diritti umani avanzano l'ipotesi che questa potrebbe essere un'apertura legale perché altre vittime delle torture statunitensi possano farsi avanti contro gli appaltatori militari e di sicurezza privati. Altri, tuttavia, dubitano che il caso possa essere facilmente riprodotto da altri.

"Nessuno lo verrà a sapere"

Durante il governo di Saddam Hussein, Abu Ghraib, situata a 20 miglia a ovest di Baghdad, era una delle prigioni più famigerate del mondo, con torture, esecuzioni settimanali e condizioni di vita ignobili. Vi erano detenute contemporaneamente decine di migliaia di prigionieri politici. Dopo l'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 e il rovesciamento di Saddam, l'edificio fu trasformato in una prigione militare statunitense.

Majli venne arrestato nell'ottobre 2003, fermato per strada mentre andava a trovare suo zio nella provincia occidentale irachena di Anbar. "Stavano arrestando tutti gli uomini", racconta Majli, che all'epoca aveva circa 36 anni. "Ml legarono le mani con delle fascette e mi misero un cappuccio sulla testa. Ero innocente e mi prelevarono senza alcun motivo".

Dopo alcuni giorni nel campo di Habbaniyah ad Anbar e in un'altra località sconosciuta, Majli venne trasferito ad Abu Ghraib, dove rimase per 16 mesi. Non fu mai accusato di alcun crimine né informato dei motivi per cui era detenuto. Secondo un rapporto trapelato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), gli ufficiali dell'intelligence militare delle forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti in Iraq hanno ammesso che tra il 70% e il 90% degli iracheni detenuti dopo l'invasione statunitense furono in realtà arrestati per errore.

Majli racconta alla TRNN di essere stato tenuto in isolamento per quasi un mese, il che è proibito dal diritto internazionale. "Tutto quello a cui riuscivo a pensare era il suicidio", dice, aggiungendo che cercò di usare la plafoniera della sua cella per fulminarsi. "Le guardie americane mi dissero che dietro la cella [di isolamento] c'era un trituratore che veniva usato durante il regime di Saddam, quindi se avessero voluto, avrebbero potuto triturarmi e gettare i miei resti nel fiume e nessuno lo avrebbe mai saputo".

Majli racconta di essere stato attaccato da cani senza museruola, di aver ricevuto l'ordine di spogliarsi nudo mentre i soldati gli gettavano addosso acqua gelida durante i freddi mesi invernali e di essere stato picchiato direttamente sui genitali con un bastone. Oltre alla piramide umana, i soldati lo hanno costretto a posizioni sessuali con altri detenuti maschi mentre era nudo e bendato, anche se non è sicuro se i soldati abbiano scattato delle foto oppure no.

Majli afferma che i soldati statunitensi sparavano anche proiettili veri contro i prigionieri. Con i suoi occhi, vide che due detenuti furono uccisi così e i loro corpi furono portati via dalla prigione in sacchi per cadaveri. Inoltre, Majli prese la polmonite dopo che le guardie inondarono la sua cella con acqua fredda come tattica per impedire ai prigionieri di riposare.

"Non avrei mai immaginato che gli esseri umani fossero capaci di fare cose del genere", dice Majli, portando le nocche alla bocca e rosicchiandosi la pelle, un tic nervoso sviluppato ad Abu Ghraib. "In prigione mi sentivo sempre così spaventato e nervoso, che iniziai a mordermi le nocche in modo incontrollabile. Ancora adesso, mi mordo la pelle delle nocche e delle braccia ogni volta che ricordo il mio periodo in prigione. Non posso farci niente".

Quando Majli venne rilasciato nel febbraio 2005, il suo calvario non fece che continuare. Era rimasto senza un soldo e psicologicamente sconvolto, soffriva di incubi e rabbia incontrollabile per ciò che aveva dovuto sopportare.

Secondo Sarah Sanbar, ricercatrice di Human Rights Watch (HRW), a causa della natura sessuale delle foto rese pubbliche, gli ex detenuti di Abu Ghraib sono costretti ad affrontare uno stigma estremo nella società conservatrice irachena. Pertanto, molti sopravvissuti alle torture hanno troppa paura di rendere pubbliche le loro esperienze. "Molti semplicemente non vogliono farsi avanti", spiega Sanbar. "Le persone che si fanno avanti affrontano l'emarginazione e la stigmatizzazione all'interno della comunità. Altri sono anche molestati da appaltatori e soldati per aver parlato".

“Quindi non sappiamo quante altre vittime delle torture di Abu Ghraib ci siano”, aggiunge.

Dopo che Majli ha reso pubbliche le sue esperienze in prigione, sua moglie ha chiesto il divorzio e i suoi figli hanno affrontato il bullismo a scuola, abbandonando infine gli studi. È anche costretto a trasferirsi ogni volta che i suoi vicini scoprono che è stato detenuto ad Abu Ghraib. "Questa è la nona volta chce cambio casa a Baghdad", dice Majli alla TRNN, guardando nervosamente verso la finestra.

Nonostante i tentativi del governo degli Stati Uniti di presentare gli abusi ad Abu Ghraib come un incidente isolato, gli esperti di diritti umani affermano che questi abusi erano indicativi di un triste modello di torture che ha caratterizzato la guerra in Iraq e la cosiddetta guerra al terrorismo. L'unico aspetto eccezionale degli abusi ad Abu Ghraib è stato che furono fotografati e sono stati mostrati al mondo, dice Sanbar. Tuttavia, torture e maltrattamenti diffusi dei detenuti, a volte più estremi di quelli di Abu Ghraib, sono stati  documentati  in numerosi siti gestiti dai militari statunitensi in tutto l'Iraq.

Suhail al-Shimari, Salah al-Ejaili e Asa'ad al-Zubae, i tre querelanti del caso tenutosi in Virginia, vennero sottoposti a settimane e mesi di gravi maltrattamenti, umiliazioni, degradazione e negazione della loro umanità mentre si trovavano nell'"hard site" di Abu Ghraib, dove sono stati compiuti i più gravi atti di tortura.

I querelanti hanno descritto di essere stati aggrediti sessualmente, sottoposti a scosse elettriche, privati del sonno, costretti in posizioni forzate, che hanno portato uno degli uomini a vomitare un liquido nero, costretti a indossare biancheria intima femminile e minacciati con i cani. Shimari fu trascinato in giro per la prigione con una corda legata intorno al collo. Nessuno di questi uomini, tuttavia, è nelle famigerate foto, in cui Majli dice di apparire.

A differenza di Majli e di altre vittime delle torture statunitensi, questi tre uomini sono andati in tribunale e hanno vinto.

"La corte dell'impero"

I tribunali statunitensi hanno ripetutamente  archiviato casi simili contro il governo federale a causa di una legge del 1946 che preserva l'immunità delle forze statunitensi in caso di rivendicazioni che sorgano in tempo di guerra. Dal momento che gli Stati Uniti non aderiscono allo Statuto di Roma, che ha fondato la Corte Penale Internazionale (CPI), i crimini di guerra sono indagati dalle forze armate statunitensi internamente, un processo che manca continuamente di fare giustizia per le vittime.

In quella che i gruppi per la difesa dei diritti umani affermano essere una rarità, 11 ufficiali militari statunitensi sono stati  condannati per crimini relativi allo scandalo di Abu Ghraib dal 2004 in poi, molti dei quali hanno ricevuto pene detentive che vanno da pochi mesi a diversi anni. Tuttavia, "Abu Ghraib è un sintomo di un cancro molto più grande all'interno del governo degli Stati Uniti", commenta Yumna Rizvi, analista politico senior presso il Centro per le Vittime di Tortura (CVT).

"Ciò che è accaduto ad Abu Ghraib non è un caso isolato, ma fa parte della politica di tortura dell'amministrazione Bush nella guerra contro il terrorismo. Ci sono innumerevoli altri casi di torture che non sono mai stati fotografati o ripresi e non hanno mai attirato l'attenzione dei media. Quelle vittime sono state sostanzialmente dimenticate e i colpevoli non sono mai stati puniti".

A causa dell'immunità concessa al governo degli Stati Uniti, il Center for Constitutional Rights (CCR), il Centro per i diritti costituzionali, che ha intentato la causa per conto dei querelanti, ha deciso di citare in giudizio la CACI nei tribunali statunitensi attraverso l'Alien Tort Statute (ATS), che consente ai cittadini non statunitensi di intentare azioni civili davanti ai tribunali federali degli Stati Uniti in casi riguardanti violazioni del diritto internazionale. Nel corso degli anni, numerose  decisioni della Corte Suprema hanno notevolmente limitato la portata dell'ATS.

Mentre due dei querelanti hanno testimoniato dall'Iraq, Ejaili, un ex giornalista di Al Jazeera che ora vive in Svezia, si è  recato negli Stati Uniti per testimoniare. "Fondamentalmente è entrato nella corte dell'Impero, ha mantenuto fermamente la propria posizione e ha chiesto che fossero ascoltati", spiega Baher Azmy, direttore legale del CCR. "E questa giuria ha concordato".

Secondo Azmy, la CACI sta facendo appello alla sentenza e probabilmente cercherà di portare la causa fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

Gli esperti di difesa dei diritti umani sperano che questo caso possa aprire la strada ad altre vittime di tortura statunitensi affinché possano cercare una giusta compensazione nei confronti degli appaltatori militari e di sicurezza privati. "Spero che vedremo più persone presentare domanda sulla base dell'ATS", afferma Rizvi, del CVT. "Spero che questo crei un precedente [legale] e faccia luce su coloro che aspettano giustizia da molto tempo".

Majli cercò di ottenere un risarcimento dal governo degli Stati Uniti per anni dopo il suo rilascio, chiedendo assistenza all'Associazione degli Avvocati Iracheni di Baghdad; tuttavia, lo informarono che non si occupavano di tali casi. Ha anche contattato il Ministero iracheno per i Diritti Umani, ma a parte fornirgli una lettera che confermava che era nel loro sistema come ex prigioniero di Abu Ghraib, non è stato in grado di aiutarlo.

Da allora, è rimasto bloccato, senza alcuna via legale in Iraq per chiedere un risarcimento al governo degli Stati Uniti per gli abusi. "Io e tutti gli altri iracheni vittime di abusi ad Abu Ghraib meritiamo un risarcimento in modo da poter guarire e rifarci una vita", dice Majli alla  TRNN  . La notizia della storica vittoria legale di novembre ha dato a Majli un barlume di speranza, e si chiede se questa possa essere una nuova strada per ottenere giustizia per gli abusi che continuano a perseguitarlo.

Ma, secondo gli esperti, questa vittoria in tribunale probabilmente non sarebbe utile ad altre vittime delle torture di Abu Ghraib. Sebbene l'ATS non preveda uno specifico termine di prescrizione all'interno della legge stessa, convenzionalmente i tribunali lo comportano di 10 anni. Pertanto, è molto improbabile che un tribunale statunitense accetti casi risalenti a più di 20 anni fa.

Secondo Sanbar, di HRW, ci sono anche limitazioni per altre più recenti vittime di torture che tentino di seguire l'esempio di questo caso. "Il contesto in cui si verificano molte di queste torture è che vieni prelevato dalla strada e mandato in un centro di detenzione", spiega Sanbar. "Non parli la lingua dei tuoi carcerieri, non sei in grado di riconoscere i diversi distintivi o uniformi e, in realtà, in molti casi non sai chi è il tuo torturatore".

Il caso del CCR è stato enormemente aiutato dal fatto che il governo degli Stati Uniti ha condotto indagini approfondite sugli abusi ad Abu Ghraib, i cui rapporti sono stati resi  pubblici e ha identificato specificamente il ruolo della CACI nelle torture e negli abusi. In altri casi che non hanno suscitato indignazione quanto Abu Ghraib, le informazioni non vengono condivise pubblicamente. "Nei casi futuri, sarà molto facile per il governo negare l'accesso alle informazioni per motivi di sicurezza nazionale", afferma Sanbar.

Il governo degli Stati Uniti ha anche da tempo  emesso ordinanze restrittive nei confronti dei detenuti di  Guantanamo Bay, diventata un simbolo di  tortura, trasferimento coatto e detenzione a tempo indeterminato senza accusa o processo. Più recentemente, è stato rivelato che parte dell'accordo di patteggiamento di Khalid Shaikh Mohammed, il presunto ideatore degli attacchi dell'11 settembre, include un' ordinanza restrittiva a vita con l'impossibilità di parlare degli aspetti delle sue torture da parte della CIA. Inoltre, il Congresso ha costituzionalmente  privato le corti federali della giurisdizione sulle cause per danni da parte di ex detenuti di Guantanamo.

Nonostante questi ostacoli, la vittoria in tribunale è ancora estremamente significativa, non da ultimo perché invia un messaggio agli appaltatori della sicurezza privata che possono essere ritenuti responsabili degli abusi che commettono all'estero. "Questo essenzialmente mette in guardia tutti gli altri appaltatori militari e di sicurezza in tutto il mondo, indipendentemente dal teatro o dal conflitto in cui operano", dice Sanbar alla TRNN. "Possono e saranno ritenuti responsabili delle loro azioni all'estero se dovessero commettere maltrattamenti, torture o crimini di guerra".

Ma Sanbar sottolinea che questa vittoria in tribunale non dovrebbe distogliere l'attenzione dal fatto che il governo degli Stati Uniti ha l'obbligo, ai sensi del diritto nazionale e internazionale, di fornire risarcimento e riparazioni per i danni che ha causato, "sia in termini di ritenere responsabili i propri soldati che di fornire giustizia o compensazione alle vittime".

"Attualmente non esiste una via legale per le persone che affermano di essere state torturate o maltrattate da funzionari statunitensi per far sì che i loro casi vengano ascoltati o per richiedere un risarcimento", aggiunge.

"Il cuore non può guarire"

"Il mio cuore non può guarire senza giustizia", afferma Abdelrahman Muhammad Abed, 50 anni, detenuto dai soldati statunitensi nel dicembre 2005, quasi due anni dopo che le prime foto di Abu Ghraib erano state rilasciate ai media, suscitando grande scalpore in tutto il mondo.

L'indignazione pubblica che seguì lo scandalo di Abu Ghraib nel 2004 non dissuase i soldati statunitensi dall'abusare di Abed e dall'umiliarlo immediatamente dopo il suo arresto, durante il quale, insieme a suo fratello e suo nipote, venne picchiato dai soldati, anche con il calcio delle armi. Furono anche costretti a spogliarsi ea rimanere in mutande.

Vennero trasferito in un campo militare gestito dagli Stati Uniti, dove era in corso una festa tra i soldati. "C'era un DJ e gli uomini e le donne ballavano insieme", racconta Abed, agitando ansiosamente la gamba su e giù mentre è seduto su una sedia nella sua casa di Baghdad. "Il soldato mi ha gettato a terra e ha iniziato a ballare, buttandomi sabbia e polvere in faccia e in bocca".

Secondo Abed, i tre uomini, che erano ancora solo in mutande, sono stati poi costretti a stare in piedi davanti a buche appena scavate nel terreno, simili a tombe. "Il traduttore che lavorava per i soldati ci disse che ci avrebbero giustiziati, quindi avremmo dovuto dire le nostre ultime parole". Furono costretti a stare in piedi davanti alle tombe per circa un'ora, mentre una musica festosa risuonava intorno a loro. Poi i soldati li picchiarono di nuovo, dice Abed.

Rimase detenuto senza accusa né processo per un anno e mezzo a Camp Bucca, una volta  definito "la Guantanamo dell'Iraq", e ad Abu Ghraib, dove rimase per due mesi. "Per settimane ad Abu Ghraib mi picchiarono costantemente. Sulle mani, sulle gambe e sulla schiena, con i pugni, i piedi e le armi", racconta Abed alla TRNN.

Abed smette bruscamente di parlare mentre trattiene un'ondata di lacrime. "Alla maggior parte di noi non piace parlare delle proprie esperienze perché è troppo doloroso", dice, riacquistando lentamente la calma.

"Merito un risarcimento da parte di coloro che hanno abusato di me, non perché voglio dei soldi. Anche se mi pagassero un milione di dollari per ogni giorno in cui sono stato detenuto ingiustamente, non sarebbe abbastanza. Ma voglio un riconoscimento per quanto mi è successo.

Per anni dopo il suo rilascio, Abed dice di aver vissuto nella costante paura che i soldati statunitensi potessero venire di nuovo a prenderlo. "Se sentivo anche solo un rumore all'esterno, come un fruscio di foglie, mi spaventavo, temevo che fossero gli americani", spiega.

"Gli americani vedevano tutti gli iracheni come terroristi. Ci hanno fatti sentire come se non fossimo umani. Fin da bambino ho sentito parlare dell'America e del mondo occidentale e di come rispettino i diritti umani e la democrazia. Ma la verità è l'opposto.”

Jaclynn Ashly è una giornalista multimediale freelance che ha lavorato in vari paesi, principalmente in Medio Oriente, Africa e Caraibi. È una narratrice approfondita, che si concentra su temi quali i diritti umani, la cultura, la religione, la migrazione e l'ambiente.

Foto: Jaclynn Ashly tramite The Real News Network

Available in
EnglishSpanishPortuguese (Brazil)Italian (Standard)Arabic
Author
Jaclynn Ashly
Translators
Emanuele Padovani, Giovanna Comollo and ProZ Pro Bono
Date
17.04.2025
Source
The Real News NetworkOriginal article🔗
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