Il 16 novembre 2024, un ingegnere agrotecnico di 34 anni si è presentato ad una stazione di polizia di Casablanca a seguito del mandato di comparizione ordinato dalle autorità locali, le quali lo hanno sottoposto a custodia preventiva. Due giorni dopo lo hanno accusato per “istigazione a commettere reati vari”. Nei mesi precedenti, Ismail Lghazaoui aveva lavorato col suo gruppo locale di Boicottaggio, Cessazione e Sanzione (BDC) alla protesta contro la complicità di stato e aziende con la guerra israeliana per l’annichilimento dei palestinesi a Gaza. Per le sue azioni, la polizia marocchina lo aveva già fermato in ottobre, per strada, mentre si stava recando al consolato degli Stati Uniti d’America per manifestare contro il supporto americano a Israele. In seguito, era stato rilasciato senza accuse.
Successivamente all’arresto in novembre, tuttavia, il pubblico ministero ha citato in giudizio i discorsi di Lghazaoui, usando come base per le accuse la minaccia di mobilitazione popolare contro il consolato americano, a seguito della diffusione della sua protesta sui social media di lingua araba. Hanno poi allegato al caso alcune sue dichiarazioni dove esortava operatori portuali e manifestanti a bloccare l’attracco di navi israeliane, dopo che delle indagini locali e internazionali avevano rivelato che il porto di Tangeri Med fosse diventato uno scalo per rifornimenti militari a Israele.
Un mese dopo, ancora in cella dopo che la richiesta di rilascio provvisorio dei suoi avvocati era stata rifiutata, Lghazaoui ha ricevuto la massima pena per la sua accusa: una sentenza di detenzione di un anno e una multa di 500$. Per tutta la durata del processo e la sua attuale incarcerazione, Lghazaoui è stato recluso in isolamento, con scarse condizioni igieniche e poca luce solare, nonché limitate visite familiari.
A una prima occhiata, il caso di Lghazaoui appare come una chiara storia di repressione contro i difensori della Palestina, perpetrata da un governo arabo che da tempo avrebbe normalizzato le relazioni con Israele. Eppure, la complessa sequenza di eventi che ha condotto all’arresto risale a Haifa e Ashdod, passa tra lo stretto di Gibilterra e attraversa l’Oceano Atlantico per approdare ai porti commerciali del New Jersey e del Texas. Ognuno di questi siti rappresenta un ingranaggio cruciale nel motore nascosto del genocidio di Gaza: il processo di distribuzione globale che porta le armi e le forniture militari di produzione statunitense a Israele.
All’inizio di novembre dello scorso anno, il Movimento Giovanile Palestinese (PYM), in collaborazione con Progressive International, ha pubblicato un rapporto di una ricerca sull’analisi di 2000 spedizioni navali di forniture militari inviate al Ministero della Difesa di Israele, a partire dall’inizio del genocidio, su navi operate dal colosso logistico danese Maersk. Il rapporto ha rivelato che le spedizioni contenevano decine di migliaia di tonnellate di veicoli per la fanteria armata, gilet tattici militari, piastre antiproiettile, componenti aeronautiche, esplosivi tattici e proiettili, solitamente spediti dagli Stati Uniti, dai porti nel New Jersey e nel Texas e in seguito transitati dal porto di Algeciras in Spagna sulla via per Israele.
È cruciale evidenziare la scoperta che la Maersk, a partire da marzo 2024, avrebbe intenzionalmente trasgredito il divieto legislativo spagnolo, che vietava il transito di materiali militari destinati a Israele nei propri porti nazionali. Come risultato della campagna del PYM, Maersk è stata forzata ad ammettere pubblicamente, per la prima volta, il trasporto di armi per Israele per conto del Programma di Fornitura di Risorse Militari statunitensi per Paesi Esteri. In risposta a queste rivelazioni, il governo spagnolo ha cominciato a vietare l’attracco delle navi Maersk sospettate del trasporto di carichi destinati al Ministero della Difesa israeliano. Dopo aver perso l’accesso a uno dei suoi punti chiave di scalo, Maersk si è trovata costretta a dirottare le sue navi su un’altra destinazione dello stretto di Gibilterra: il porto di Tangeri Med, sulla costa del Marocco.
Sebbene il Marocco avesse da tempo saldi rapporti commerciali con Israele, la notizia secondo cui il regno stesse effettivamente facilitando il trasferimento di risorse militari per le forze israeliane, stanziate a Gaza, ha diffuso l’indignazione tra la popolazione marocchina. La città di Tangeri in particolare, dove ha sede il porto di Tangeri Med, da novembre è stata testimone di proteste su larga scala contro il supporto esplicito del governo verso il genocidio in atto. Lghazaoui aveva partecipato a queste manifestazioni popolari chiedendo l’interruzione delle spedizioni di materiali militari nel porto, al fianco di gruppi come BDS Marocco, il Fronte Marocchino per la Palestina e Against Normalization.
La severità della condanna di Lghazaoui è stata probabilmente dettata dal desiderio delle autorità di dover creare un esempio con un volto importante del movimento di protesta, dopo aver assistito alla risposta degli operatori portuali in favore delle richieste di sostegno da parte dei manifestanti. Molti operai del porto di Tangeri Med che si erano rifiutati di maneggiare le forniture militari sono stati richiamati o licenziati, mentre altri hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta. Dopo la diffusione di foto che mostravano veicoli militari all’interno di container al molo della Maersk, le autorità portuali hanno cominciato a limitare l’accesso alle telecamere di sorveglianza e alle navi ancorate durante la notte. La mobilizzazione degli operatori portuali ha raggiunto il suo picco con la creazione di un sindacato e la richiesta di supporto da parte della Federazione Internazionale del Commercio, ma Maersk ha sedato l’ingenuo tentativo con una lettera aperta agli operai del porto.
Le continue crisi per il ruolo del Marocco nel genocidio perpetrato da Israele hanno aggravato le tensioni a lungo latenti tra le politiche nazionali e l’opinione pubblica. In stati con una maggioranza musulmana come il Marocco, dove il sostegno popolare per la causa palestinese è largamente diffuso (dall’inizio del genocidio, il supporto alle relazioni diplomatiche con Israele è precipitato dal 31 al 13%), gli ufficiali del governo oscillano ansiosamente tra il finto supporto per Gaza e il servilismo verso i loro abituali clienti americani, israeliani ed europei.
La decisione del governo marocchino di permettere che le spedizioni di armamenti per Israele passino dai propri porti, a discapito del rifiuto del governo spagnolo di fare lo stesso, è una logica conseguenza dell’accordo di normalizzazione tra Israele e Marocco mediato dalla precedente presidenza di Trump. La partecipazione del Marocco negli Accordi di Abraham del 2020, che hanno formalizzato le passate discrete relazioni diplomatiche, ha dato i suoi frutti nella forma di collaborazioni tra i servizi segreti, esercitazioni militari congiunte, compravendita di armi e il riconoscimento della sovranità del Marocco sul Sahara occidentale da parte degli Stati Uniti. Nel luglio del 2024, le forze militari marocchine hanno chiuso un contratto da 1 miliardo di dollari con le Industrie Aerospaziali Israeliane per l’acquisto di satelliti spia Ofek 13, usati da Israele per sorvegliare l’Iran, l’Iraq, la Libia, la Siria e il Libano.
Mentre le proteste di strada fungono da valvola di sfogo per i governi che hanno normalizzato le loro relazioni con Israele, il timore che le mobilizzazioni popolari raggiungano un più esteso stato di crisi governativa, porta all’obbligo di contenere le espressioni pubbliche di solidarietà, facendole passare per un supporto generalizzato verso palestinesi che stanno affrontando l’apocalittica campagna militare israeliana. Le azioni politiche più conflittuali, che minano alla complicità stessa del Marocco nel sostenere il genocidio, vengono trattate in una maniera del tutto differente.
Soltanto nell’anno passato, due cittadini marocchini, Said Boukioud e Abderrahmane Azenkad, sono stati condannati a sentenze di cinque anni di detenzione per aver denunciato la normalizzazione marocchina sui social media israeliani. Il loro caso, come quello di Lghazaoui, è stato un atto di soppressione delle forze di opposizione nazionali, creando degli esempi a partire da delle figure pubbliche. Nella regione, in paesi come la Giordania, l’Egitto e gli stati del Golfo, le autorità hanno adottato definizioni legali elastiche per “istigazione”, “crimine informatico” e “terrorismo” per poter opprimere e condannare organizzatori, giornalisti e studenti per le proteste contro il ruolo dei loro governi a sostegno della creazione dell'ossario di Israele.